Le forme della violenza

La violenza di genere può coinvolgere potenzialmente ogni donna: non esiste, infatti, un profilo specifico della donna che subisce violenza. La violenza è trasversale, colpisce donne italiane e migranti, di qualsiasi strato sociale, economico e culturale, senza distinzione d’età, religione, lingua, opinioni politiche e condizioni personali. Così come non esiste un profilo  specifico dell’uomo maltrattante: qualsiasi uomo, indipendentemente dalla sua appartenenza nazionale, religiosa, socio-economica e culturale può maltrattare la propria compagna. La violenza maschile sulle donne assume diverse forme, anche se spesso viene riconosciuta solo quella fisica.

VIOLENZA FISICA

Per violenza fisica si intende qualsiasi forma di intimidazione o atto che mette a rischio l’integrità fisica di una donna. Sono quindi riconducibili alla violenza fisica: spintoni, schiaffi, morsi, tirate di capelli, pugni, calci, testate, cadute provocate, colpire o cercare di colpire con oggetti, uso di armi da fuoco, uso di armi da taglio, strangolamento o tentato strangolamento, altre forme di tentato omicidio, l’essere rinchiusa in casa o altre forme di sequestro l’essere buttata fuori casa.

Tali forme ricorrono nei reati di maltrattamento, percosse, lesioni personali, violenza privata, violenza privata aggravata, violazione di domicilio, sequestro di persona.

VIOLENZA SESSUALE

Comprende qualsiasi forma di imposizione di rapporti o pratiche sessuali indesiderate e/o rapporti che provocano dolore fisico e che siano lesivi della dignità, ottenute con la forza fisica e/o con minacce di varia natura.

Sono da considerarsi violenza sessuale: le molestie sessuali (anche telefoniche), il rapporto sessuale subito o estorto con la minaccia, la richiesta di atti sessuali umilianti, l’aggressione con o senza stupro, la prostituzione forzata e la tratta.

L’imposizione di un rapporto sessuale o di un’intimità non desiderata è un atto di umiliazione, di sopraffazione e di soggiogazione, che provoca nella vittima profonde ferite psichiche oltre che fisiche.

VIOLENZA PSICOLOGICA

La violenza psicologica è una forma subdola di maltrattamento, in quanto invisibile e silenziosa, che colpisce moltissime donne, spesso inconsapevoli di esserne vittime: E’ forse la forma più pervasiva e distruttiva di violenza, che comprende tutti quei comportamenti che ledono l’integrità e la dignità della donna.

Rientrano nella violenza psicologica: tradimenti, menzogne e inganni, chiusura comunicativa persistente, controllo e gestione della vita quotidiana, limitazioni della libertà personale e di movimento, aggressioni verbali, denigrazioni, umiliazioni, ricatti, rifiuto sistematico di fare lavoro domestico, rifiuto sistematico di fare lavoro educativo, rifiuto di avere rapporti sessuali, minacce di violenza fisiche e/o di morte, minacce di violenza fisiche e/o di morte a parenti/amici/conoscenti, minacce di autolesionismo e/o suicidio, matrimonio combinato/ forzato.

VIOLENZA ECONOMICA

Come nel caso della violenza psicologica, anche la violenza economica è talvolta difficilmente riconoscibile: è quindi bene sapere che qualsiasi forma di privazione, sfruttamento o controllo che mira a creare dipendenza economica, o ad imporre impegni economici non voluti e/o estorti con l’inganno, è violenza economica.

Più specificamente sono riconducibili alla violenza economica: privazione o controllo del salario, impedimento alla ricerca o al mantenimento del lavoro, impegni economici e/o legali imposti con la forza o con l’inganno, l’abbandono economico, il non pagamento dell’assegno di mantenimento, limitare o negare l’accesso alle finanze familiari, occultare la situazione patrimoniale e le disponibilità finanziarie della famiglia, sfruttare la donna come forza lavoro nell’azienda familiare senza dare in cambio nessun tipo di retribuzione, appropriarsi dei risparmi o dei guadagni del lavoro della donna e usarli a proprio vantaggio, attuare ogni forma di tutela giuridica a esclusivo vantaggio personale e a danno della donna (per esempio l’intestazione di immobili).

Tale forma di controllo limita pesantemente l’indipendenza economica della donna e spesso è una delle motivazioni che inducono la donna a non uscire da una relazione violenta.

STALKING

Indica il comportamento controllante messo in atto dal persecutore nei confronti della vittima da cui è stato rifiutato (in genere si tratta dell’ex partner). Spesso le condotte dello stalker sono subdole, volte a molestare la vittima e a porla in uno stato di soggezione, con l’intento di compromettere la sua serenità, farla sentire braccata, non libera.

Sono stalking: pedinamenti e inseguimenti, persecuzioni telefoniche e/o scritte, sottrazione e danneggiamento di oggetti, come pure regali non voluti, violazioni di domicilio.

LA VIOLENZA ASSISTITA

Sempre, quando in famiglia viene agita violenza, i bambini e le bambine, anche se piccolissimi, ne sono a qualche livello consapevoli, coinvolti e ne soffrono le conseguenze.

Deve venir superata, quindi, l’idea che se i/le bambini/e non vengono direttamente maltrattati non soffrono, o che se non vedono quanto accade in famiglia (perché magari sono a scuola o stanno dormendo), non sanno e non si rendono conto: i/le bambini/e percepiscono sempre la tensione, vivono la paura per quanto sta accadendo e ne rimangono profondamente colpiti. Anche i neonati sono in grado di percepire quanto accade attorno a loro e sono stati documentati seri danni per questi piccoli esposti alla violenza domestica.

Infine, questi/e bambini/e imparano che la donna è vittima e l’uomo è legittimato all’uso della forza. Ricevono il messaggio che la madre è fragile, incapace di proteggere se stessa e loro, oppure possono convincersi che la madre è cattiva, indegna e quindi che merita di venir punita e maltrattata, anche a causa dell’opera di screditamento della donna messa in atto dal violento. La loro “educazione sentimentale” è spesso impregnata di stereotipi di genere connotati da svalutazione della figura materna e della donna in generale e da esaltazione di caratteristiche di virilità e di “machismo”, alle quali i figli maschi si vedono obbligati ad adeguarsi.

Gli effetti della violenza assistita sono presenti anche a lungo termine: gli ex testimoni di violenza tendono a sviluppare depressione, ansia, vissuti di impotenza, bassa autostima, dipendenza, somatizzazioni, ad abusare di sostanze, a diventare adulti e partner a loro volta violenti. Alcune ricerche rilevano negli adolescenti che hanno assistito a violenza familiare un’elevata incidenza di comportamenti devianti e delinquenziali e la tendenza ad instaurare rapporti di coppia incentrati sulla violenza.

In generale, dalle ricerche risulta che l’aver subito e/o assistito a maltrattamenti intra-familiari è tra i maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di comportamenti violenti in età adulta.

Pertanto, negare o minimizzare gli esiti della violenza assistita sul benessere dei/delle bambini/e può avere delle conseguenze molto gravi, sia a breve sia a lungo termine.

IL CICLO DELLA VIOLENZA

La violenza nelle relazioni intime si manifesta in forma ciclica. La studiosa americana Lenore Walker ha identificato tre fasi che descrivono il maltrattamento come strategia di controllo all’interno del ciclo della violenza:

1) Crescita della tensione: E’ il primo momento della violenza verbale, lui è irritato e quando lei cerca di chiedergli cosa succede, lui nega, magari l’accusa d’essere “troppo sensibile”, lei si chiede in che cosa sta sbagliando, ha una percezione della realtà distorta, è confusa, cerca di accontentare il suo aggressore evitando di contraddirlo e assecondando ogni sua decisione. Lui si allontana emozionalmente da lei e lei ha paura di essere abbandonata.

2) Esplosione della violenza: inaspettatamente si scatena la violenza fisica che destabilizza, confonde e terrorizza la donna.

3) Falsa riappacificazione o luna di miele: è sempre lui che decide quando inizia e quando finisce questa fase. Nei primi episodi è caratterizzata da pentimenti e richieste di perdono con promesse di cambiamento e rinnovate dichiarazioni d’amore. Man mano che passa il tempo questa fase è sempre più breve, la donna diventa sempre più dipendente e l’uomo ha sempre più potere. La fase della falsa riappacificazione costituisce il rinforzo positivo che spinge la donna a restare all’interno della relazione violenta e in qualche modo soddisfa (soprattutto all’inizio) un suo bisogno di riabilitazione (Serra 1999).

Fin dall’inizio il rapporto è un rapporto asimmetrico, non paritario, anche se spesso la donna non ne è immediatamente consapevole, o quantomeno non del tutto consapevole.